Maria Montanaro, originaria di Grottaglie e laureata a Padova, è psicologa nel reparto di Oncoematologia Pediatrica intitolato a Nadia Toffa: “Bambini e genitori sono guerrieri in campo da sostenere ogni giorno. Con Predict stiamo imparando le potenzialità del robot umanoide Aphel: non è solo compagno di svago e stimolo per la curiosità, ma può contribuire a favorire la socializzazione e a formare ricordi positivi della degenza”
di Stefania De Cristofaro – Comunicazione Sanitaria
TARANTO – Sarà stato il destino. Quei puntini della vita che si uniscono anno dopo anno come per magia, fino a delineare una strada e una destinazione. Di certo c’è che da ottobre 2019 nel reparto di oncoematologia dell’ospedale Santissima Annunziata di Taranto, c’è un volto nuovo: la dottoressa delle emozioni.
La dottoressa delle emozioni
È Maria Montanaro, psicologa, occhi che brillano davanti a ogni piccolo paziente, viso sorridente, anche sotto la mascherina.
Ogni giorno ascolta i bambini e i loro genitori, raccoglie le loro emozioni, dalla rabbia alla paura, alla gioia, per dare tutta la forza necessaria a chi, in quel reparto intitolato a Nadia Toffa, la conduttrice de Le Iene scomparsa prematuramente, combatte la battaglia per la vita. Ci sono bimbi di pochi mesi, adolescenti e ragazzi sino a 25 anni.
“Ricordo la prima volta che mi hanno chiamato così: lo devo a un bambino di Padova che si chiama Alessandro e che purtroppo non c’è più. È venuto a mancare il 22 marzo 2013, ma è nel mio cuore. Un giorno, per presentarmi ad altri bambini, ricoverati assieme a lui, disse: Lei è la dottoressa Maria, la dottoressa delle emozioni, quella che quando la mamma è triste parla e parla tanto e poi la mamma torna felice”, racconta Maria Montanaro.
“Io l’avevo nominato come vice primario proprio perché mi aiutava tantissimo a rapportarmi con gli altri bambini”.
L’esperienza di vita della psicologa
Quelle emozioni, Maria Montanaro le ha provate sulla sua pelle a 21 anni: “Quando ero al terzo anno di psicologia e studiavo fuori sede, all’università di Padova, mi diagnosticarono una forma di tumore raro in età pediatrica che aveva colpito una giovane adulta”, racconta.
“Volevamo curarmi nel reparto in cui ho iniziato a lavorare subito dopo la specializzazione a Verona, quello pediatrico, dove continuo a lavorare ora che sono arrivata a Taranto, dopo aver conosciuto il dottor Valerio Cecinati quando ero in ospedale a Padova tra il 2017 e il 2018. La prima volta che sono venuta a Taranto c’era solo la sezione per il day hospital con pochi posti letto. Chissà, forse un segno del destino”. Guarita per guarire.
“Ci penso spesso. Ricordo di essere riuscita a superare quel periodo con la grinta che può avere una ragazza di 21 anni, forte del sostegno di mia sorella, della mia famiglia, degli amici e dell’équipe di medici, dall’oncologo ai radioterapisti. Anche loro mi hanno dato supporto per andare avanti: sono riuscita a proseguire con gli studi, a dare esami e quando era possibile anche a frequentare le lezioni”.
Otto mesi densi di emozioni. “Ho dovuto anche scegliere se fare la chemioterapia in aggiunta alla radioterapia e ce l’ho fatta perché, pur non avendo il supporto di uno psicologo, ho potuto contare su una squadra di persone che mi sono state sempre accanto e sono riuscite a non farmi fermare e a farmi concentrare sulla progettualità. Questa riflessione l’ho fatta con il tempo ed è stata quella che mi ha portato qui dove sono oggi”, racconta la psicologa che a Taranto, nel reparto di oncoematologia pediatrica è arrivata grazie alla sottoscrizione di una convenzione tra la Asl del capoluogo ionico, l’associazione Simba e la fondazione Soleterre.
Il contributo dello psicologo in ambito pediatrico
“Mi sono resa conto del mio personale percorso e di quanto fosse prezioso il contributo della figura professionale dello psicologo in ambito pediatrico e oncologico. Da quel momento, mi si è aperto un mondo: è fondamentale l’esperienza che si matura sul campo accanto ai pazienti e alle loro famiglie. Sono loro i miei maestri di vita: ogni giorno imparo qualcosa sulle emozioni, su quelle dei piccoli e su quelle dei loro genitori, perché quando si ammala un bambino, si ammala tutta la sua famiglia e l’ospedale diventa una seconda casa”, prosegue.
“Quando i piccoli, le mamme e i papà ti confidano quello che provano e ti consegnano le proprie emozioni, dobbiamo trattarle con i guanti: vanno comprese e condivise”.
Nell’ultimo anno le misure restrittive disposte per contenere la diffusione del Covid, hanno impedito gli abbracci, le pacche sulle spalle e le strette di mano, così come la possibilità di vedere i sorrisi che ora sono nascosti dalle mascherine.
“Ma il Covid non ci ha tolto la possibilità di parlare con gli occhi che sono lo specchio dell’anima”, dice la dottoressa delle emozioni.
L’arrivo di Aphel nel reparto intitolato a Nadia Toffa
Nuove emozioni hanno fatto capolino nel reparto dall’estate 2020, quando è arrivato il robot umanoide Aphel. “È stato un dono di tante persone generose e ai bambini è piaciuto molto”, racconta Maria Montanaro.
Le donazioni sono arrivate dalla Fondazione Nadia Toffa in collaborazione con la ASL Taranto Puglia Salute, l’associazione di volontariato Arcobaleno nel Cuore, da Je Jesche pacce pe te!!! (frase stampata sulle magliette) e da Tutti gli amici del Minibar.
“All’inizio – lo ammetto – ero un po’ scettica, ma ho avuto modo di incontrare gli ingegneri Marco Morisco e Monica Carella di Predict e con loro sto imparando tanto su Aphel e sulle potenzialità di questo robottino in reparto, come alleato nel percorso dei bambini, perché può favorire l’adattamento nell’ambiente ospedaliero e il percorso di cura che possono far paura, a maggior ragione in tempi di Covid poiché può esserci solo un genitore come accompagnatore del minore”, dice Maria Montanaro.
“L’ambiente ospedaliero e le restrizioni, inoltre, possono anche demotivare il bambino che, al contrario, deve essere stimolato e diventare compliante, ossia collaborante nella cura, e quindi protagonista”, prosegue la dottoressa delle emozioni.
“Aphel è a misura di bambino e i bimbi di oggi hanno dita touch screen, di conseguenza, si presta bene e entrate in contatto con loro, fermo restando che c’è sempre la presenza di un professionista quando i piccoli incontrano il robot umanoide. Il rapporto umano resta fondamentale”.
“Aphel, inoltre, offre proposte di gioco e di svago che possono essere d’aiuto quando il bambino deve essere sottoposto a prelievi o a visite perché lo aiuta a distrarsi dalla condizione di paziente. E può contribuire a creare ricordi positivi del periodo di degenza”, dice Maria Montanaro.
“Da ultimo, va sottolineato il fatto che il robottino può favorire la socializzazione tra i bambini che quando sono in ospedale tendono a isolarsi e ad avere contatti solo con i genitori. Le limitazioni Covid hanno rallentato i contatti, ma speriamo di lasciarsi alle spalle quanto prima questo periodo”.
Quanto al futuro prossimo, Aphel resterà nel reparto di oncoematologia pediatrica dell’ospedale Santissima Annunziata di Taranto.
“Ci auguriamo di avviare un progetto più strutturato che ci permetta di dimostrare l’efficace contributo offerto dal robot, anche attraverso la raccolta dei suggerimenti direttamente dai bambini in modo tale da lavorare sugli algoritmi da installare su Aphel. Così il robottino potrà essere ancor più a misura dei piccoli pazienti”.
Il progetto di ricerca per migliorare le capacità applicative del robottino prosegue in collaborazione
con il direttore del reparto, la coordinatrice infermieristica e le educatrici. Un lavoro di squadra.
Il progetto di ricerca per migliorare le capacità applicative del robottino prosegue in collaborazione con il direttore del reparto, la coordinatrice infermieristica e le educatrici. Un lavoro di squadra.